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Pensieri e note

Cipolle

Sono nel deserto:
le facce amiche
sono poche, tutte uguali,
tutte noiose ai miei occhi stanchi.

Accontentarmi:
farmi un vitello d’oro
e goderne finché (lo so)
tornerà il capo a farmelo andare di traverso.

Questa è la via semplice,
che non vorrei seguire,
ma è più forte di me:
questo vuoto oscuro,
macigno di paglia
che assorbe le mie lacrime.

Grasso e insaziabile diavolo
che non si stanca mai
di pretendere, di ricattare
premendo sulle mie paure.

No! Questo vuoto,
dolore insopportabile,
devo sopportarlo.
E’ il mio stomaco che é vuoto,
il mio cuore che grida:

RIEMPIMI, ma non così.

Non ricordo cos’è,
o la paura mi paralizza,
questo faraone da cui fuggo:
ma ora lucido dico
che mai vorrò più mangiare quelle cipolle di merda.

Mia fortezza,
mandi la manna,
mi sazi, ma ancora
io resto infedele.

Pietà di me,
in questa terra arida,
lascia morir fuori
dalla terra promessa
quel vecchio,
ma non io,
vero io!
Pietà di me.

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Storie = Tesori

“Nel mondo ci sono tanti tesori meravigliosi e, se sai dove scavare, potrai trovare oro, argento, diamanti, tutti i tipi di tesori.
Ma se non sai dove scavare, tutto quello che troverai sarà roccia, e polvere.
Loro possono mostrarti dove scavare, e per cosa scavare, ma scavare spetta a te.”

Facile essere attratti da ciò che più troviamo grottesco, tetro, strano. Storie di vite disintegrate, di volti sfigurati e di menti drogate. Quanto sono raccapriccianti le trame di certi racconti o di certi romanzi, eppure quanto ci emozionano.

Difficile essere attratti da ciò che più troviamo vecchio, noioso, statico. Storie di vite vissute, di volti scavati dal tempo e di mani rovinate dal lavoro. Quanto sembrano scontate le vite dei nostri anziani, eppure quante cose ci insegnano.

Forse, per non restare destabilizzati da certe letture realistiche ma inventate, dovremmo tornare alle storie di vita ordinaria e insieme straordinaria dei nostri zii e nonni.
Se consideriamo la sapienza un tesoro prezioso, dobbiamo considerare che non tutto ciò che è placcato d’oro ed esposto in bella mostra alla Feltrinelli è un tesoro. Anzi, spesso i tesori sono sepolti nei campi, sotto terra e roccia.

Che sia faticoso e insperato trovarli, ok. Ma se il tesoro è tale, ti ripagherà della fatica.

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Il silenzio che spaventa

Rumore, suoni, canti, fischi, schiocchi, parole vuote e seghe mentali.

Fatti, azioni, gesti inutili, solo per colmare un vuoto nella mia pancia.

Un weekend di silenzio spaventa tutti: “io non vengo perchè non ho voglia di rompermi le palle”, “io non voglio fare silenzio”, “che palle”.

E io, mi sento libero di fronte al silenzio?
Lei non lo fa di proposito, crede non serva, sia inutile.
Ma io? Lo faccio perché credo mi serva, o perché va fatto e basta?

Concretamente, sono lì stasera per un motivo.

Io ho bisogno di meditare? Io ho bisogno di stare fermo? Io ho bisogno di silenzio?

Sono libero, o ne ho bisogno?

Che palle. Lo dico io, ora.

E’ difficile capire a cosa serva il silenzio di venerdì sera, rischia di essere una superstizione, di farti venite sensi di colpa.
Se non lo rispettassi sarei in peccato.

Definitivamente non sono libero.

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Che tempo faceva

Nessuno guarda oggi il meteo dei ieri.

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Close your eyes

Vorrei essere interessato.

Vacanza con gli amici,
stando sereno.

Immergermi nel dialogo,
nell’ascolto degli altri,
produrre nuovi oggetti della mia
futura nostalgia buona.

Ricordi e sospiri
per un bene passato,
desideri
per un bene futuro.

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Strudel

Sono uno strudel,
ma uno strudel svuotato.

Sono ancora abbastanza buono,
porto ancora il sapore del ripieno che mi farciva,
ma sono vuoto.

Croccante fuori,
vuoto dentro.

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Ritorno a casa

Una città morta, che sta svanendo.
Abitanti che sono già svaniti anch’essi, e che non se ne sono ancora accorti.
Un’altra rotonda.
Un’insegna al neon: 18.43.
Lo stesso neon, due secondi dopo: +08°C.
Lo stress dopo una giornata di lavoro.
Un buco nello stomaco.
Un pensiero accomodante, antidolorifico, per quel buco nello stomaco.
Una premessa che mi pari il culo.
Un pentimento per il mio pensiero vigliacco.
Il dubbio che forse sarebbe stato meglio essere un cattivo ragazzo.
Il mio presente che non é più leggero del mio passato, troppo poco burrascoso.
La nostalgia per il fiume a cui ho messo una diga.
Le mie mani piccole.
L’abbraccio caldo di mia madre.
Le mani grandi e sicure di mio padre.
Il campanello da suonare.
Le porte del 4 che si aprono.
La pioggia che mi bagna i capelli.
L’ombrello che ho nello zaino e che non voglio aprire.
Il raffreddore, che domani avrò.
I lampioni accesi al mio passaggio.
Le auto parcheggiate vicino al bingo.
Coppie apatiche che tornano all’auto.
I soldi corsi via.
La luna, che non c’é.
Cani che abbaiano.
Skate park vuoti.
Ceneri bagnate.
Luci accese in soffitta.
Le chiavi che sono nell’altra tasca.
L’iPod che ho paura che cada per terra.
Un respiro profondo.

Ritorno a casa.

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Carenze d’affetto

Le “carenze d’affetto” le capisco: etichettiamo così la ricerca affannata di attenzione, l’ansia, l’agitazione, la tristezza, gli sbalzi d’umore, le seghe mentali sul nostro aspetto, i modi inconsapevoli di porci agli altri… Insomma, un sacco di sintomi che delineano una sola sindrome.
La “carenza d’affetto” non si cura con le medicine, che bastano solo a placarne i sintomi.

Io le capisco queste carenze d’affetto.
Le ho vissute a lungo, ne porto i segni ancora adesso.

Non basta un vestito, una pettinatura, una sigaretta, un tatuaggio, un’attitudine per ingannare gli occhi di chi è davvero interessato a noi.
C’é qualcosa che non va? Loro lo vedono, palesemente.
Evadiamo, scappiamo da coloro che sappiamo che ci conoscono, perché vedono ciò che fatichiamo tanto a nascondere, vedono oltre l’apparenza.

Eppure basterebbe poco per uscire da questo stato di “carenze d’affetto”.
Come ogni paura, esse esistono perché noi crediamo che esistano. Nulla di più.
Se noi iniziamo davvero a parlare di come stiamo, mettendo da parte paure, maschere e pregiudizi, allora inizieremo a scavare, vangare, girare le zolle, là dove qualcun altro potrà seminare. Potrà, forse, crescere qualcosa di buono, dove prima era terra arida.

Le persone non ci “servono”, come le dosi di eroina per i tossicodipendenti.
Non ci “servono”, per non sentirci soli, anche se noi spesso crediamo questo.
Non ci serve essere accettati dagli altri, casomai il contrario: ma noi, gli altri, li accettiamo?

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Overeaters Anonymous, ovvero l’infinita tristezza

Quante volte ci accontentiamo di avere accanto qualcuno che ci dia attenzione, che ci consideri forte, bello, bravo, intelligente, sensibile, profondo e tutte quelle cose che pensiamo di non essere?

Ci svendiamo alla prima attenzione donata, abbandonando la nostra spina dorsale allo scheletro di qualcun altro.
Questo qualcun altro poi potrebbe andarsene, lasciandoci soli e senza spina dorsale, e questo non per sua “colpa”, ma perché non vede in noi quello che noi cerchiamo in lui.

Siamo ciechi.
Non vediamo persone, ma alberi che si muovono. Alberi da cui cogliere frutti per sfamarci, frutti che crediamo riempire il nostro vuoto che abbiam dentro, vuoto che non può essere riempito da qualcosa o qualcuno.
Ci crediamo più furbi di chi ci ha messo dentro quel senso di insoddisfazione che ci spinge alla ricerca, ma piuttosto che ammettere di non saper vedere ciò di cui abbiamo bisogno ci accontentiamo delle prime persone, delle prime sensazioni, delle prime parole che sentiamo.
Ci accontentiamo di un sorso d’acqua ogni tanto, ma non vogliamo andare a dissetarci alla fonte per paura di lasciare le nostre misere sicurezze.

Abbiamo bisogno di un chirurgo che ci tolga la cataratta dagli occhi, di un oculista vero che ci faccia finalmente vedere, e non di un oculista ciarlatano che ci faccia solo guardare altrove.
Qualcuno che ci conosca da quando siamo nati -o anche prima- e che sappia consolarci e perdonarci quando sbagliamo, che ci spieghi perché siamo schiavi di questa fame compulsiva, bulimia o anoressia del cuore, e che sappia dirci come rompere con essa.

Qualcuno ha il numero dell’ospedale giusto per noi?

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Tornare bambini

Lascia, abbandona tutto quello che comprendi
Ritorna alla terra dell’arcobaleno
Dove il sole é basso e il vento soffia
E il tempo, lui si muove così lento…

Matisyahu