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Pensieri e note

Il lavoro

Un’amica, anni fa, mi parlava di quanto fosse affascinata dalla psicologia, dall’inconscio e dal suo funzionamento.
Mi raccontava di come siamo “repressi” dal Super-Io, di come senza il suo freno faremmo ciò che “davvero vorremmo”, di come noi saremmo in realtà soltanto delle “bestie” sedate da qualcosa che l’evoluzione, la civiltà o qualcos’altro ci ha ficcato nel cervello.
Secondo quanto sosteneva questa mia amica, l’uomo è misero, finito, già morto al momento della nascita proprio perché già destinato alla morte.
Lei sosteneva anche che la vita era sofferenza e che la morte auspicabile in quanto fine della sofferenza.
Io non so quanto fosse stata semplicemente influenzata dal Decadentismo e dal Romanticismo, ma certo doveva farle uno strano effetto doversi confrontare quotidianamente con gioie inaspettate – vivere momenti di serenità con gli amici, provare piacere nel coltivare una passione, scoprire di avere intorno individui che uscivano da sé stessi e che le volevano bene – e con fallimenti spietati – genitori fisicamente vicini ma umanamente lontani da lei, i segni del suo passato che tornavano a farsi vedere, delusioni affettive dovute a una certa superficialità nei rapporti.

Oggi, mentre ero seduto sul pullman sulla strada verso l’ufficio dove lavoro, si avvicina un mio giovane amico – va ancora a scuola -, che mi ha raccontato dello stage che sta facendo in queste settimane in preparazione alla professione che dovrà svolgere finite le superiori.
Vedendo come lui parlava un po’ stupito delle cose nuove che doveva fare, ho rivisto questi ultimi anni in un’ottica diversa e ho notato come sono arrivato al suo grado di “consapevole semplicità” solo in questo ultimo anno.
Mi sono accorto di aver appreso come il lavoro che svolgo non è qui per me come una condanna, ma come un dovere: dovere per avere frutti, dovere per imparare a vivere, dovere per crescere.
Non sono condannato a lavorare per punizione, ma devo lavorare per capire ciò che forse ho dimenticato.

Ho ripensato a quella mia vecchia amica, che non rivedo da anni, da quando ha fatto la scelta di non proseguire sulla mia stessa strada.
Lei ora fa una scuola per truccatori, per lei la forma ha vinto sulla sostanza e, per una che si faceva troppe domande sulla vita anziché fare esperienze, io lo considero un passo avanti (per quanto conti il mio punto di vista).
Ha smesso di farsi troppe domande e ha finalmente scelto una strada da percorrere: sono convinto che il lavoro serva per diventare adulti e liberi.

Prima o poi, forse, arriverà a interrogarsi sul senso di tutta questa menata (se già non lo fa), a capire che ha senso pensare che non può tutto concludersi con una morte-‘fine dell’esisenza’, come lo schermo nero dopo i titoli di coda.
Forse arriverà alla conclusione che l’unica vera conclusione è quella delle nostre preoccupazioni e ansie, è l’inizio dello stupore: il “Continue…” dopo i titoli di coda.

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