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Ultreia et Suseia

Buongiorno signore, Come sta?
Non ci conosciamo, io abito nel suo quartiere da quando sono nato, l’ho vista in giro da quando ero piccolo e vedevo che accompagnava suo figlio alla mia stessa scuola elementare. A occhio e croce doveva avere l’età che io ho oggi.

Non l’ho mai salutata prima, anche se so in che casa abita e che lavoro fa.
La saluto solo perché ci incrociamo ora, durante una camminata tardo pomeridiana in questa domenica di fine gennaio, mentre il sole scende e la pianura padana sembra meno apatica e infernale.
Sì, ho detto infernale, perché per me l’inferno non é il posto caldo e affollato che tutti immaginano, ma é più simile al buco gelido e di solitudine del Lucifero dantesco.
Un inferno di abbandono, in cui però non c’é la solita nebbia a coprire le nostra fragile natura umana del cazzo.

Oggi in questa camminata lei é stata l’unica persona che ho incontrato.
No, non era l’unica persona uscita di casa per fare una passeggiata sull’argine. Ma tutti erano lì a camminare senza una meta che non fosse la fine o l’inizio dell’argine, come se non ci fosse da guardarsi intorno e da pensare alla propria vita rispetto alla natura che ancora qui sopravvive ai margini della città.
Camminano sull’argine quando non c’é nulla da dover arginare, non pensano alle lacrime e alla fatica di chi quell’argine lo ha costruito dopo che l’ultima piena del fiume si era portata via tutto, nella speranza che quello che avevano patito loro non lo dovessero patire le generazioni dei loro figli e nipoti, e che in effetti noi non abbiamo patito.
Eppure, tra tutta questa gente, lei è stata l’unica persona che ho incontrato, con cui ho scambiato un saluto.

Io sono qui a camminare come tutte queste persone, ma per me l’argine é la meta.
Alzo gli occhi, mi guardo intorno, come si fa quando si arriva sulla cima di un monte, dando le spalle al tramonto di oggi e già pensando all’alba di domani.
La saluto, signore, come si saluta chi si incontra in quota, non solo per cortesia, ma perché sia io che lei stiamo facendo lo stesso cammino.
La saluto come si salutano i pellegrini che si incontrano sul Cammino di Santiago.

Non sarà un cammino lungo ma è l’inizio di un ritorno.
L’inizio, forse, di un cambiamento, e ogni tratto di asfalto è tempestato dei ricordi.

“Andiamo oltre” – “Andiamo più in alto”, senza bastone alla mano ma con i nostri pensieri nella bisaccia.

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Pensieri e note

Sceglierei la lentezza, ma…

Sono veloce a dimenticare, a passare, a scegliere le vie brevi e meno faticose.
Il piacere nella lentezza, nella fatica, nell’attesa io non lo conosco.

Fumo lento di pipa, cucina lenta, lento mangiare, una crescita lenta e difficoltosa, una scrittura lenta e ordinata, preparazione lenta, comporre lentamente.
Tutto ciò lo fuggo come se fosse il male, di istinto, di impulso corro dalla parte opposta.

Eppure so che nella lentezza è il gusto, nella lentezza è il metodo, dove nelle sfumature sta la bellezza, nella pazienza la speranza.

Sabati e domeniche ad annoiarsi, a guardare fuori le nuvole grigie che si spostano e le foglie arancioni che cadono.
Quante parole scritte, quante scelte fatte, quante idee trasformate in bozze di realtà, in quelle giornate uggiose.

La preghiera può essere dialogo lento con il divino, oppure un soliloquio, un rimuginio o una ruminazione.
Un amore o un’amicizia possono nascere e crescere solo se c’è ascolto, pazienza, ma soprattutto una disposizione alla lentezza.
La lentezza è requisito della fede e della fiducia.

Ogni giorno io sceglierei la lentezza