Categorie
Pensieri e note

Il frutteto del padre

In un paesino alle pendici di queste colline, un uomo molto anziano, vedovo da tanti anni, aveva due figli e una casa con un grande frutteto.
Il padre sentiva che i suoi giorni su questa terra stavano finendo, e gli acciacchi dell’età si erano trasformati prima in patologie, poi in disfunzioni vere e proprie.
Era allettato da qualche anno e non si sarebbe più mosso da quel giaciglio.

Il figlio maschio, più grande, viveva con lui, gli voleva molto bene e lo aveva accudito negli ultimi anni.
Era un omone alto, con la barba rossiccia già striata di bianco. Aveva superato la quarantina da qualche anno, e da almeno dieci anni viveva col padre.
Proprio quando perse il lavoro per la crisi e la moglie lo lasciò, la madre aggravò e morì nel giro di poche settimane, lasciando il padre già anziano nello sconforto più totale: fu allora che il ragazzone decise di rimboccarsi le maniche e gestire il frutteto di famiglia, ricavando non pochi spiccioli, arrivando anche a rifornire di frutta i negozi di alimentari dei paesini limitrofi.
Piano piano, giorno dopo giorno, il figlio maggiore poteva vedere il padre perdere le forze, ma pensava a tutto e si sforzava di non farlo mai sentire solo e sconsolato, lavorando sodo nel giardino e portandogli da mangiare i frutti del suo frutteto.
La figlia dell’anziano aveva una quindicina d’anni in meno del fratello.
Stufa della prospettiva di una vita tra la sperduta campagna e l’afoso e anonimo capoluogo di pianura, aveva lasciato la casa da giovanissima con la scusa della frequenza obbligatoria all’università, seguendo la sua indole e i suoi interessi ma prendendo strade molto diverse da quelle prese dal padre, dalla madre e dal fratello maggiore.
Adesso viveva in una regione lontana, dove aveva trovato lavoro come ingegnere meccanico, e aveva finalmente messo la testa a posto, sposandosi e dando alla luce due bambini vispi e vivaci.
A causa della sua vita in una città lontana, il padre e il fratello non la vedevano o sentivano anche per lunghi periodi.
Ogni tanto, quando poteva, la figlia minore visitava comunque il padre per cortesia, parlando con lui per alcune ore: talvolta, la figlia leggeva al padre qualche pagina dal proprio diario, raccontando le cose che faceva a lavoro, parlando delle soddisfazioni e delle fatiche in famiglia, e chiedeva infine al padre cosa ne pensasse, i suoi dubbi, i suoi errori e le sue speranze.
Il figlio maggiore attendeva fuori dalla stanza, combattuto tra il giudizio verso la lontananza della sorella e la sua presenza in quel momento, capace di scaldare il cuore del padre infermo.
Ogni volta che la figlia andava a trovare il padre, usciva rincuorata dal suo capezzale, e serena tornava alla sua città e alle sue faccende con qualche cassetta piena di frutta biologica.
Una sera il padre chiamò a sé il figlio più grande: si sentiva ormai prossimo alla fine, e voleva parlare all’unica persona che gli fosse accanto in quel momento.
“Figlio mio, – disse, con voce flebile ma decisa, – tu mi sei sempre stato vicino. Sei stato mia forza quando ero debole, mia gioia quando ero triste, mia speranza quando vedevo solo la fine dei miei giorni.
Stanotte morirò, ma tu non devi essere triste. So quanto mi ami, tu che credi non poter vivere senza di me, ma sappi che ti resterò accanto sempre.
Alza il capo e asciugati le lacrime, perché tua sorella è lontana ma vive, e così i miei nipotini.
Loro sono la tua famiglia, e in loro scorre il mio sangue, il tuo sangue.
Stanotte morirò, ma tu vivrai e dovrai dare un senso ai tuoi giorni.
Ama tua sorella, che vive lontano e che mi ha dato dispiaceri e gioie; amala, perché ha fatto ciò che ho fatto anche io, che sono partito da lontano e ho lasciato la mia casa e ho creato questa famiglia.
Ama tua sorella, amala anche se tu non hai mai preso il largo e non hai mai lasciato la tua casa paterna; vanne fiero, ma volta pagina e scrivi un diario, una pagina per ogni giorno in cui avrai ricominciato a vivere.
Stanotte morirò, e il mio corpo giacerà freddo sul giaciglio e tu mi seppellirai.
Chiama tua sorella, e se non sarà qui a breve, non fargliene una colpa né un debito.
Amala, perché possa sentirsi libera di non esserci quando sarai nel bisogno, ma alla fine scelga di starti accanto.
La libertà è più importante dell’amore, ricordatelo. L’amore si dà e si riceve, ma la libertà che si toglie soffoca ogni possibilità di amore.
Capisci questo, e capirai quanto vi ho amati.
Ti chiedo perdono per le volte che non ho saputo amarti, e quanto vorrei chiederlo anche alla tua sorella lontana.
Tu sei stato a me vicino, ma certe volte sei stato pressante e io mi sono arrabbiato, ma ho capito che lo facevi per preoccupazione e per amore.
La tua presenza è stata una benedizione, sono stato un padre fortunato.
Figliolo… Buonanotte, è ora di andare”.
Detto questo, si addormentò e, alle prime luci dell’alba mentre ancora dormiva, spirò.
Il figlio lo trovò come aveva detto, freddo e disteso sul giaciglio al mattino.
Pensò alla sorella lontana e la chiamò, non prima di essersi chiesto chi dei due il padre amasse di più: se lui, figlio maggiore, fedele, zelante e amorevole; o se forse la figlia minore, indipendente, responsabile e a tratti ribelle.
La figlia giunse il giorno seguente, accompagnata dalla sua famiglia, in tempo per i funerali.
Dopo la funzione e la sepoltura, i due fratelli si trovarono da soli, nella silenziosa casa del padre. Stettero in silenzio davanti al letto vuoto, quindi chiusero la porta della stanza e uscirono di casa.
Mentre i bambini della donna correvano e giocavano nel frutteto col marito, i due fratelli li guardavano camminando sul vialetto che costeggiava il giardino.
La giovane donna parlò al fratello e disse: “Nostro padre ci amava. Tu non mi hai mai capito, per le scelte che ho fatto, ma nostro padre ci ha amato comunque entrambi, nella misura in cui ci lasciava liberi.”
“Nostro padre ci amava entrambi, certo – disse il figlio maggiore, – e non importa che io sia stato qui e tu no, perché ti amava. Amava me per la mia presenza, e amava te perché ovunque fossi ti ricordavi di lui…”.
“Ti sbagli, fratello mio – ribattè la giovane, – però anche io pensavo che fosse così.
All’inizio me ne andai per mio conto, cercando… Non so cosa, forse il divertimento, forse l’affetto, forse l’eccesso… Pensavo che per essere libera avrei dovuto sacrificare l’amore della mia casa, ma quando ho capito che a mio padre non importava quanto andassi lontano e quanto in fondo scavassi, e che anche se arrivavano alle sue orecchie i miei trascorsi lui per me c’era sempre, io… Ho capito che mi stavo sbagliando.
Ma non è solo questo, perché anche quando mi sono laureata, quando mi sono sposata e sono nati i suoi nipoti, lui comunque sembrava non essere interessato a quello che facevo.
C’è mancato poco che non lo mandassi a quel paese e tagliassi i ponti, perché pensavo che così l’avrei reso felice e invece…
Così ho deciso di prendere il mio tempo, il mio ritmo, e ho preso a visitarlo solo quando davvero mi fosse mancato, o lui mi avesse chiesto di passare a trovarlo.
Quando sono venuta a trovarlo l’ultima volta qualche settimana fa, ho letto qualche pagina dal mio diario.
Ho letto di come crescono i miei figli e di quanto avrebbero voluto conoscere il nonno, così lui mi ha chiesto scusa. Si è scusato per i modi freddi che ha avuto, e mi ha garantito che ha gioito per tutte le cose belle che sono accadute a me e alla mia famiglia, ma non voleva che io mi sentissi vincolata a lui tanto da vivere anche quelle mie gioie come un “tributo” a lui.
Io non me ne ero ancora resa conto, ma se prima pensavo di meritare il suo rifiuto, poi ho iniziato a vivere cercando la sua approvazione.
“No, fratello – proseguì la giovane donna, – nostro padre ci amava entrambi dello stesso amore, ci amava forse in modo diverso, ma sempre nella stessa misura: quella della nostra libertà.
E così, ti amava non per le tue azioni, ma perché tu per primo hai accettato di vivere nella libertà che lui ci dava, e liberamente hai deciso cosa era bene per te, e così ho fatto io.
Così voglio ricordare nostro padre. Quando ne parlo alle mie amiche, c’è chi sostiene che avrei dovuto chiamarlo e parlargli tutti i giorni, appena mi alzavo al mattino e alla sera dopo cena, fargli sentire che ero preoccupata per lui, fargli capire che ero una brava figlia, per fargli piacere.
Mio marito, invece, mentre ci stavamo recando qui per il funerale, mi ha detto che pensa che sia stato un bene per me vivere così, lontano dalla casa di mio padre e da te, in mezzo alle tentazioni di questo mondo sbagliato che sta andando a rotoli, in mezzo alla sofferenza e alla precarietà, sbagliando e cadendo, facendomi del male e facendolo agli altri, perché l’amore dato e l’amore ricevuto si possono dimenticare, ma i frutti della libertà maturano lenti ma numerosi, e necessitano molto concime e molte potature”.
“E papà questo lo sapeva bene, – commentò sorridendo il fratello maggiore, – i frutti buoni richiedono metodo e dedizione, ma senza il terreno giusto, la luce giusta, l’aria giusta è difficile anche solo che qualcosa cresca.”
Il fratello maggiore guardò la sorella, si era fatta già bella da adolescente, ma a trentatrè anni aveva in più un’aria di maturità e di tranquillità che sapevano dare pace a chi le stava accanto. I suoi capelli biondi nascondevano bene i primi capelli bianchi.
Di certo non era più la ragazzina inquieta coi capelli tinti di arancione che scappò di casa alla fine delle superiori.
Lui le mise una mano sul capo e lei, di tutta risposta, lo abbracciò forte, lasciandolo un po’ sorpreso.
“Andiamo sorellina, i tuoi ragazzi avranno fame – riprese il fratello, – e io ho una famiglia da conoscere”.

Categorie
Pensieri e note

Life log

Ho paura,
paura di finire
come sono arrivato,
senza accorgermene.

Ciò che avrò fatto,
in un modo o nell’altro,
prima o poi
perderà valore.

Ciò che non si perde
è la reazione,
è la causa legata all’effetto
da un evento che resterà,
eterno.

I tuoi occhi non esisteranno più
ma ciò che li mosse,
l’impulso a guardare oltre,
esso resterà, intangibile –
e inutile anch’esso, forse –
registrato per sempre
nel log della vita.