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Pensieri e note

Un’attesa isterica

Lei era ferma e dentro le si congelava il sangue
guardando quella foto era un odio così grande
era quasi un amore viscerale per niente
tutte quelle settimane ad aspettare inutilmente

Lei lo sentiva ancora nel grembo e nelle vene
sentiva ancora il suo scalciare a ritmo di campane
non riesce più a capire, non riesce ad afferrare
che il bimbo fosse soltanto uno sfogo ormonale

I fiocchi azzurri sono diventati vermiglio
rossi come la rabbia e la placenta raggirata
pensava bene che il miracolo fosse successo
ma è triste avere un figlio mai concepito e già perso

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Pensieri e note

Vagabondi

Continuavo a guidare, giorno e notte verso il nero più intenso, sulla strada bianca di neve, sulle curve e i tornanti del nord Italia.
Volevo farlo da tanto, tanto tempo, questo viaggio per quei paesini così rurali, così simili, ma così diversi, ognuno con una fortissima identità propria, ognuno una piccola nazione, a suo modo.
Sentivo il bisogno di cercare qualcosa lassù, tra le montagne che da Piacenza vedevo a malapena nei giorni più limpidi.
Senza pensarci troppo sono partito, cercando nuove idee, nuove persone, nuove risposte.

È stato durante uno di quei giorni che la incontrai.
Lei era ferma, con la testa fra le mani, in un piccolo bar sulla statale della Valsugana.
Piangeva, era disperata, con i suoi lunghi capelli biondi che le scendevano come sipari su un volto devastato dal pianto.

-Perché piangi?- le ho chiesto?
Il suo sguardo è scattato verso di me, un guizzo, una luce nei suoi occhi, come quella di chi si sente chiamare da qualcuno che non vede da anni.
Mi sono presentato, e le ho detto che era un peccato vedere una ragazza così bella piangere. Lei ha abbozzato un sorriso sincero, nonostante la banalità.
Le ho offerto una cioccolata calda, lei si è asciugata le lacrime e si è sistemata i capelli, che ora le correvano lunghi e lisci fino alle spalle.
Mentre la beveva a piccoli sorsi, mi ha spiegato che, pochi minuti prima, il suo ragazzo le aveva sputato contro quanto veleno avesse in corpo, lasciandola lì, abbandonata e senza un posto dove andare.
Mi ha detto che quell’uomo che credeva forte, coraggioso, fedele, è scappato impaurito alla notizia di un figlio in arrivo.
E io la vedevo lì, fragile, indifesa, con la sua mente immersa nella cioccolata.

L’ho fatta salire in macchina.
-Dove ti porto? Abiti in paese?-
Lei mi ha risposto che no, non abitava, né qui né, oramai, in alcun paese vicino o lontano.
I suoi l’avevano allontanata appena saputa la notizia, perché “un figlio fuori dal matrimonio è un grosso disonore per noi…”
Le ho proposto, allora, di venire con me, nel mio viaggio.

Siamo partiti, io, lei, la mia auto, le mie valigie e il suo zaino.

Dopo una settimana di viaggio, fra tappe in piccole comunità rurali e piccole gite, tra vivaci chiacchierate e caldi silenzi, dopo esserci pian piano conosciuti, lontani dai nostri problemi, su una panchina fuori da un rifugio sulle Dolomiti, ci siamo scambiati uno sguardo.
In un solo istante le mie insicurezze, le mie ricerche, i suoi abbandoni e il suo bambino, in quel momento tutto ha avuto un senso.
Quella chiamata, che nelle notti insonni sentivo dalle montagne, come un’eco, ora la sentivo come un sussurro al mio orecchio, così vicina e dolce.
E le ho risposto con un bacio puro e appassionato, rosso come il tramonto davanti a noi.

Guido, è notte, sulla strada ricca di foglie rosse, sulla strada dritta che porta all’ospedale. E lei, mia moglie, è qui, di fianco a me.
Il bambino sta per nascere.
Tutti ridono, tutti cantano, tutti piangono (di gioia).

Non so cosa stessi cercando in quel viaggio, ma so che ciò che cercavo ora l’ho trovato.

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Canzone di spade

Ogni giorno un sole nasce
e io come luna svanisco nel cielo
con una dose di grazia
e una di sogno sparisco nel vuoto

Che importa svegliarsi
se tanto l’essenza dei fatti rimane la stessa
Perdendo la vita
si vive ma chi non la perde è perduto e resta

Canzone di spade
canzone di lacci di pelle come cappio al collo
canzone non senso
canzone di giorni subiti vissuti nel sogno
canzone di aneliti andati
canzone di sogni sfumati al tramonto
canzone di poveri fessi
canzone stonata di un cuore vagabondo

È notte e di nuovo si parte
io cacciatore spolpo la selvaggina
e come sciacallo mi nutro
guardando negli occhi di questa chimera

La fata morgana del nulla
che mi accompagnava è scomparsa da un’ora
La crisi è arrivata
e morfina il dolore dolcemente cura

Canzone di spade
canzone di lacci di pelle come cappio al collo
canzone non senso
canzone di giorni subiti vissuti nel sogno
canzone di aneliti andati
canzone di sogni sfumati al tramonto
canzone di poveri fessi
canzone stonata di un cuore vagabondo

E adesso che sono cosciente
mi chiedo come fai a resistere ancora
senza quello spicchio di morte
che lentamente la vita consuma

corrotto da acidi brividi
e consolato dal mio folle gesto
cullato dal vento io cado
sparisco e fallisco nel mio esser perfetto

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Festa di sera

Sono un tramonto rosso sulle montagne rocciose:
ascolto in silenzio il solitario suono delle chitarre,
il vento che ulula sotto i portici della veranda.
Tutt’intorno non sento nulla, nel rumore della città
e nei segnali delle radio commerciali.

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Il non apparente vizio solitario dell’egotista

Il bagno è pieno dei tuoi capelli
sul muro della doccia
sul pavimento e sul tappeto
e tu dormi ancora

Come fili di bronzo
lasciano un segno
intimo del tuo passaggio
e tu dormi ancora

Ma svegliati
al solo pensiero
di rivederti stasera
e darti ciò che aspetti
mi vien da raccare
alla mia solitudine

Ma svegliati
e presto alzati
lustra il pavimento
e cambia il tappeto
trasforma la mia latrina
in una reggia

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All’ombra

La strada è grigia e vuota, ricorda una vecchia fotografia degli anni 60, quando questo quartiere fu costruito.
L’asfalto nero è così freddo e duro che entrare in casa è stato l’unico sollievo che ho provato davvero in questa giornata.

Devo avere dormito per cinque o sei ore, prima di accorgermi di essere solo. Mi sveglio di colpo, piangendo.
Perché questo pensiero terribile mi attraversa la testa proprio in quel momento?
Le ombre in casa sembrano bambini che giocano a nascondino.

Neanche le ombre si avvicinano a me.

Mi sono alzato e mi sono fatto una tazza di caffé, nero come la luce diafana di questa giornata vuota.
Lo sento, nella campagna lontana, un tuono è una voce che mi chiama.
È il diavolo che con la sua carrozza sta per passare a prendermi.

Ho paura, come mai ne ho avuta prima, della solitudine.
Provo a cercare un diversivo, qualcosa da fare, qualcosa per cui non dare ascolto alla chiamata dell’asfalto, che da freddo e duro che era, ora mi sembra così caldo e accogliente da farmici tuffare dentro, dal terzo piano.

“Cacca al diavolo e fiori a Gesù”, mi ritorna ora nella testa quella canzoncina dei tempi del catechismo: che si fotta il diavolo! Non posso dargli ascolto…
La solitudine è solo una bugia, una maschera per non affrontare il fallimento, così terrificante quanto concreto, di quello che credevo amore.

 

 

Non so come ne sono uscito, probabilmente è stata una chiamata da parte di qualche amico, forse una visita da parte di mio fratello, forse una preghiera.

Ho capito che essere nell’ombra non è come essere nel buio: ogni ombra sul nostro viso è il segno che c’è una luce più grande che ci colpisce.

Oggi è uscito il sole. Lascerò che mi scaldi, prima che venga sera.

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Il sognatore con le ruote

“Io… voglio parlare… cantare… comunicare… alla gente… quello che penso…”, mi dice Lombardo.
Ogni parola arriva alle mie orecchie come un frammento di una frase rotta.
“Voglio fare… una radio… mi aiuti?”

Lombardo ha diciannove anni, ma è ancora in quarta superiore.
I viaggi in America lo hanno rapito per un po’, ma ora inizia a migliorare.
Tra un anno e mezzo, se tutto và bene, uscirà da quella scuola e farà qualcosa che gli piace.
Glielo auguro, in questo momento, con tutto il cuore.

“Certo, con le web radio è tutto più facile”, gli rispondo, anche se faccio un po’ fatica a mentirgli, “potremmo anche farne una, ma poi? I contenuti? Le idee purtroppo mancano!”

Lombardo a tre anni è stato colpito da una tetraparesi che da allora lo costringe sulla sedia a rotelle.
Ha delle difficoltà a parlare: parla lentamente, a scatti, come un motoscafo che salta sulle onde del lago.
Non mi piace mentirgli, ma non potrebbe mai essere uno speaker. Ma sarebbe proprio una bella rivoluzione…

“A me… piace scrivere… poesie… Mi dai… una mano… a trovare… le rime?”

Lombardo è molto intelligente.
È simpatico… Anzi, a volte fa proprio il deficente!
È un sognatore, un po’ come me. Deve essere per questo che io lo prendo sul serio.
D’altronde nessuno ti prende sul serio, se sei un sognatore.
O perlomeno se non hai una parlata veloce come il tuo passo.
O una laurea.

“Certo, sai che anche a me piace scrivere? Raccontare storie, però!”, e sono sincero, stavolta, “Mi piace raccontare storie che possono tranquillamente essere vere…”

Lombardo mi chiede spesso un aiuto per fare funzionare un computer che non và mai. E io, in realtà, dopo anni di richieste e occasioni, non so neanche come sia fatto il suo computer.
Anche questa volta so che per questioni di tempo, voglia e impegni non lo aiuterò mai a trovare quelle rime che cerca, quelle rime che faranno suonare meglio anche la ritmica lacustre delle sue parole.
Però mi piacerebbe, davvero.

“Voglio essere… qualcuno… per gli altri…”

Lombardo guarda i ragazzini che giocano a pallone e che, ogni tanto, colpiscono le ruote della sua sedia per sbaglio.
Vorrebbe che i ragazzini gliela dessero sui piedi quella palla, e lui finalmente si alzerebbe e gli farebbe vedere che numeri che sa fare, potrebbe sfidare anche Ibrahimovic o Del Piero!
Invece i ragazzini gli colpiscono le ruote, con lo stesso sconforto di quando calci la palla forte, contro un bidone traballante, pieno di rifiuti, e speri che non cada.
“Scusa!” “Trecento punti se lo beccavi in testa!”

Lombardo ha una sedia a rotelle e un’anima.
Lombardo ha un handicap e una dignità.
Lombardo ha bisogno di attenzione e di rispetto.
Lombardo sà che non vivrà mai come gli altri, sempre ammesso che gli altri stiano vivendo.

Lombardo vive con tutte le sue forze.
Anche in un’uggiosa domenica di ottobre come questa.