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Pensieri e note

Overeaters Anonymous, ovvero l’infinita tristezza

Quante volte ci accontentiamo di avere accanto qualcuno che ci dia attenzione, che ci consideri forte, bello, bravo, intelligente, sensibile, profondo e tutte quelle cose che pensiamo di non essere?

Ci svendiamo alla prima attenzione donata, abbandonando la nostra spina dorsale allo scheletro di qualcun altro.
Questo qualcun altro poi potrebbe andarsene, lasciandoci soli e senza spina dorsale, e questo non per sua “colpa”, ma perché non vede in noi quello che noi cerchiamo in lui.

Siamo ciechi.
Non vediamo persone, ma alberi che si muovono. Alberi da cui cogliere frutti per sfamarci, frutti che crediamo riempire il nostro vuoto che abbiam dentro, vuoto che non può essere riempito da qualcosa o qualcuno.
Ci crediamo più furbi di chi ci ha messo dentro quel senso di insoddisfazione che ci spinge alla ricerca, ma piuttosto che ammettere di non saper vedere ciò di cui abbiamo bisogno ci accontentiamo delle prime persone, delle prime sensazioni, delle prime parole che sentiamo.
Ci accontentiamo di un sorso d’acqua ogni tanto, ma non vogliamo andare a dissetarci alla fonte per paura di lasciare le nostre misere sicurezze.

Abbiamo bisogno di un chirurgo che ci tolga la cataratta dagli occhi, di un oculista vero che ci faccia finalmente vedere, e non di un oculista ciarlatano che ci faccia solo guardare altrove.
Qualcuno che ci conosca da quando siamo nati -o anche prima- e che sappia consolarci e perdonarci quando sbagliamo, che ci spieghi perché siamo schiavi di questa fame compulsiva, bulimia o anoressia del cuore, e che sappia dirci come rompere con essa.

Qualcuno ha il numero dell’ospedale giusto per noi?