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Pensieri e note

Il centro del mondo

Un amico una volta mi disse: “Amare significa dare all’altro ciò che non puoi dargli”.

Amare non è mica facile: sembra ci voglia della costanza, energie sufficienti per non arrivare stanchi a casa alla sera, denti bianchissimi per sorridere al tuo nemico e per distogliere la sua attenzione dal tuo sguardo affaticato.

Amare non è semplice, non quanto dire “no” a una tentazione, non quanto dire “ci vediamo domani” e infischiarsene della sorte.

Vorrei amare, ma se sono il primo io a rimetterci, ne vale la pena? Vale la pena di essere messi da parte, essere schivati, non essere più il centro del mondo – non dico degli altri, ma neanche del proprio?

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Pensieri e note

Non so dove, ma bisogna andare

Tocca a te:
scegli la tua via
ancora una volta.

Pensavi di averla già scelta,
di essere sulla buona strada,
di conoscere già questi sentieri.

Pensavi che sarebbe stato facile
tornare indietro
là dove il tempo é miele
e lo spazio é stupore.

No. Ti sbagliavi.
Non esiste quel posto.
Non ci sono alberi sotto cui sdraiarsi,
alla cui ombra leggere un libro, o riposare.

Eppure il suo ricordo non ti da pace,
nonostante tu non voglia ricordare
la nostalgia ti tormenta,
la fame fa rumore, non ti lascia dormire.

Hai sentito che quel posto esiste
da un sussurro nel vento,
da una foglia di un albero,
dal sorriso di uno sconosciuto.

E ora davvero trasformeresti
queste pietre in pane,
solo per attutire la fame?

Davvero ti trastulleresti
aspettando che venga sera,
senza alzare un dito?

Davvero ti basta un’esistenza sterile,
in cui i giorni sono solo
numeri su un calendario da cambiare,
te che sei nata
quando una sera la televisione era spenta
e una scoperta si é compiuta?

Ora
tocca a te:
scegli la tua strada,
e cammina.

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Pensieri e note

Vagabondi

Continuavo a guidare, giorno e notte verso il nero più intenso, sulla strada bianca di neve, sulle curve e i tornanti del nord Italia.
Volevo farlo da tanto, tanto tempo, questo viaggio per quei paesini così rurali, così simili, ma così diversi, ognuno con una fortissima identità propria, ognuno una piccola nazione, a suo modo.
Sentivo il bisogno di cercare qualcosa lassù, tra le montagne che da Piacenza vedevo a malapena nei giorni più limpidi.
Senza pensarci troppo sono partito, cercando nuove idee, nuove persone, nuove risposte.

È stato durante uno di quei giorni che la incontrai.
Lei era ferma, con la testa fra le mani, in un piccolo bar sulla statale della Valsugana.
Piangeva, era disperata, con i suoi lunghi capelli biondi che le scendevano come sipari su un volto devastato dal pianto.

-Perché piangi?- le ho chiesto?
Il suo sguardo è scattato verso di me, un guizzo, una luce nei suoi occhi, come quella di chi si sente chiamare da qualcuno che non vede da anni.
Mi sono presentato, e le ho detto che era un peccato vedere una ragazza così bella piangere. Lei ha abbozzato un sorriso sincero, nonostante la banalità.
Le ho offerto una cioccolata calda, lei si è asciugata le lacrime e si è sistemata i capelli, che ora le correvano lunghi e lisci fino alle spalle.
Mentre la beveva a piccoli sorsi, mi ha spiegato che, pochi minuti prima, il suo ragazzo le aveva sputato contro quanto veleno avesse in corpo, lasciandola lì, abbandonata e senza un posto dove andare.
Mi ha detto che quell’uomo che credeva forte, coraggioso, fedele, è scappato impaurito alla notizia di un figlio in arrivo.
E io la vedevo lì, fragile, indifesa, con la sua mente immersa nella cioccolata.

L’ho fatta salire in macchina.
-Dove ti porto? Abiti in paese?-
Lei mi ha risposto che no, non abitava, né qui né, oramai, in alcun paese vicino o lontano.
I suoi l’avevano allontanata appena saputa la notizia, perché “un figlio fuori dal matrimonio è un grosso disonore per noi…”
Le ho proposto, allora, di venire con me, nel mio viaggio.

Siamo partiti, io, lei, la mia auto, le mie valigie e il suo zaino.

Dopo una settimana di viaggio, fra tappe in piccole comunità rurali e piccole gite, tra vivaci chiacchierate e caldi silenzi, dopo esserci pian piano conosciuti, lontani dai nostri problemi, su una panchina fuori da un rifugio sulle Dolomiti, ci siamo scambiati uno sguardo.
In un solo istante le mie insicurezze, le mie ricerche, i suoi abbandoni e il suo bambino, in quel momento tutto ha avuto un senso.
Quella chiamata, che nelle notti insonni sentivo dalle montagne, come un’eco, ora la sentivo come un sussurro al mio orecchio, così vicina e dolce.
E le ho risposto con un bacio puro e appassionato, rosso come il tramonto davanti a noi.

Guido, è notte, sulla strada ricca di foglie rosse, sulla strada dritta che porta all’ospedale. E lei, mia moglie, è qui, di fianco a me.
Il bambino sta per nascere.
Tutti ridono, tutti cantano, tutti piangono (di gioia).

Non so cosa stessi cercando in quel viaggio, ma so che ciò che cercavo ora l’ho trovato.