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Pensieri e note Poesia

L’immenso

Ti guardo,
i tuoi occhi dolci,
il tuo naso minuto,
la tua bocca nascosta.

Ti guardo,
mi nascondo anche io,
mentre tu, dietro il velo,
chiudi gli occhi.

Davanti a me
l’immenso mi guarda, mi ascolta,
e io ho paura
di venir meno:

Venir meno
di fronte a te,
di fronte al mondo,
di fronte all’immenso

che non so immaginare.
Non so parlare,
né scrivere,
né disegnare.

Non so guardare
i tuoi occhi dolci,
il tuo naso minuto,
la tua bocca nascosta

e al pensiero
di salpare per questo
immenso, ignoto mare
mi sento debole,

incontinente, misero.
Partirei solo
per cercare un rifugio
lontano dalle mie nudità.

Eppure è qui,
sulle rive di questa
immensa esistenza
che ho incontrato il tuo sguardo,

e il tuo sguardo,
pieno di attesa,
di pudore, di dolcezza
mi ha amato.

Mi ricopristi
col tuo velo,
mi sollevasti
e mi baciasti:

“Quanto ti ho atteso
per tutti i miei giorni,
e ho atteso te

e l’infinito giorno,
pieno d’ogni bene,
con te è giunto”

Ti guardo,
i tuoi occhi dolci,
il tuo naso minuto,
la tua bocca nascosta.

Tutto di te conosco,
e amo te,
che come pioggia
ami lo sporco fango,

e nella mia morte
trovo lo stupore e il compimento,
e nel fallimento d’ogni giorno
trovo nuova vita.

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Pensieri e note

Tu sai

Tu sai di cosa ho paura.
Tu sai cosa penso.
Tu sai le mie speranze, le mie incertezze, le mie mancanze.
Sai che di notte non voglio dormire, ma dormo solo perché è un modo sistematicamente sicuro per dimenticare.
Sai che di giorno ci provo a combattere la mia buona battaglia, a volte anche chiedendoti soccorso, e che però spesso rimango solo, mentre la notte incombe, ad aspettare che qualcosa cambi. Ad esempio, che mi venga strappato via dal cuore questo macigno che lo schiaccia e lo opprime.

Tu sai che cosa faccio, per riempire il vuoto che ho dentro quando sono solo.
Sai la paura che ho al pensiero di legarmi a qualcuno, mentre legarmi a qualcosa è l’unico modo che ho per avere una minima certezza: ho una casa, ho una chitarra, ho una macchina fotografica, ho un computer, ho una televisione, ho un cellulare… Quindi esisto, quindi sono.

Tu sai, quindi, che quello che ho appena detto è una menzogna.
Sai che esisto, e lo sapevi prima che io fossi o che io facessi alcunché.
Lo sa anche il diavolo, e per questo me la spaccia come unica verità.

Lui non sa, però, quello che sarà. Lui sa solo quello che era e quello che è.
Il diavolo è miope. Una talpa che lavora sotto terra per minare le fondamenta e far crollare la casa; rimane, comunque, una talpa e come tale va trattato.

Tu sai che quello che faccio non è quello che sono; che quello che ascolto non è quello che sento; che quello che mostro di me non è quello che vedo.

Tu sai che il mio ideale è il nulla.
Ok, forse ho un po’ esagerato con quest’ultima frase: penso che l’ideale di tutti sia la gioia perfetta, ma che pochissimi la perseguano realmente, forse perché è troppo difficile o perché è troppo doloroso.
Il nulla è l’ideale di scorta su cui ho ripiegato: “nulla” perché non ho realmente una meta, “nulla” perché è ciò che tutti cercano senza esserne mai davvero lieti, “nulla” perché è ciò che tutti ottengono; ciò che non ottengono sono dei frutti che siano davvero buoni.

Tu sai che non esiste il “nulla”, e mi insegni che il “vuoto” che sento è in realtà un’assenza di qualcosa che non solo lo riempia, ma lo completi.
Tu mi completi. Tu mi rendi pieno. Tu mi rendi felice.

Se la morte è come un vuoto, allora la vita è come una pienezza.
E se il mio vuoto è riempito di ciò che non riempie, allora non sarò mai pieno, soprattutto pieno di vita.

Se la mia morte è come una nudità, allora la vita è come una coperta.
E se mi vanto della mia nudità, chi mi coprirà quando chi è nudo sarà coperto?
La coperta mi copra, mi scaldi con il suo calore, e che io sia cosciente della mia nudità e accetti di essere coperto.

Tu sai che sono nudo, e ora lo so anche io.
Tu mi ami così, nudo come sono, e non mi hai detto te di coprirmi.
Tu mi hai coperto, è vero, ma se io fossi stato aperto al tuo amore allora non avrei avuto bisogno di vestiti per il mio corpo, ma di un nuovo vestito per la mia anima.

Tu sai della mia paura di fallire.
Sai che se dormo e non penso, ascolto musica e non penso, lavoro e non penso, cammino e non penso, è solo per la paura di fallire.
Vedo matrimoni fallire ovunque, figli abbandonati, persone tristi.
Ho un po’ paura, visto che hai scelto tu questa storia per me. Io non la avrei fatta così.

Aiutami ad essere di consolazione per chi vive un fallimento, perché tu sai che io non ce la faccio. Io mi giro dall’altra parte. Non vorrei essere così, ma lo sono.

Io voglio fidarmi di te.
Io voglio affidarti la mia vita. Voglio affidarti il mio fidanzamento. Voglio essere felice e ben oltre le mie aspirazioni. Voglio essere luce per gli altri, non catarinfrangente in una strada di campagna deserta.
E so che è vero tutto, sempre, con te. So che è arrivato il momento di affrontare dubbi, domande, incertezze, e non solo nascondendole o non pensandoci.

E’ ora di cambiare, di evolvere, di decidere. E, in tutto questo, di essere me stesso.

Tu sai quanto ti cerco, sono io che non so quanto tu cerchi me, mi parli e non ascolto. Perdonami.

Grazie.

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Pensieri e note

Medea chi?

Sento il pianoforte che suona, in questa immensa sala, le tue dita suonano. Tu canti. Io ascolto.

In-trattienimi, non farmi distrarre.

Attore, che cosa canti? Un lamento per Medea? Ma lei non è solo una maschera, forse?

No, non è solo una maschera. Purtroppo.

Ogni giorno vedo Medea. Ogni giorno sul giornale, preghiera del mattino, bambini uccisi da padri, madri, tutti Medea.

Medea è tra noi. Nuda, magari, come quella ragazza in piedi, sul palcoscenico.

Medea è quella parte di me che dispera, che non si affida.

Medea è chi uccide piuttosto che lasciarsi uccidere.

Medea ha ragione, tra tutti noi. Lei si vendica.

Lei è la cecità di chi non vuole vedere e si copre il cuore, ma non gli occhi. Gli occhi vedono tutto, però.

Medea è chi si fa giustizia da sè, chi usa il proprio corpo, chi dice bugie a fin di bene, chi lascia il marito perché, a 40 anni, deve fare ciò che vuole.

Così si uccidono i figli: al male si risponde col male, alla sofferenza con la sofferenza, al tradimento col tradimento.

Così i frutti sono nati invano. Ma non davanti a Dio.

Chiediti dov’è Dio, davante a una madre che dimentica il figlio, lo uccide dentro.

E poi, attore, cercala seriamente, la risposta.