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Pensieri e note

Il centro del mondo

Un amico una volta mi disse: “Amare significa dare all’altro ciò che non puoi dargli”.

Amare non è mica facile: sembra ci voglia della costanza, energie sufficienti per non arrivare stanchi a casa alla sera, denti bianchissimi per sorridere al tuo nemico e per distogliere la sua attenzione dal tuo sguardo affaticato.

Amare non è semplice, non quanto dire “no” a una tentazione, non quanto dire “ci vediamo domani” e infischiarsene della sorte.

Vorrei amare, ma se sono il primo io a rimetterci, ne vale la pena? Vale la pena di essere messi da parte, essere schivati, non essere più il centro del mondo – non dico degli altri, ma neanche del proprio?

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Periferie

Periferie abbandonate
Alla sete e alla carne
Alla passione e ai sensi
A debolezze come forze
Esercitate dal corpo
Sicurezza nascosta
Legacci scoperti
Catene addosso
Per farti rubare
Ogni innocenza

Meglio non resistere
Meglio arrendersi
Abbandonarsi a sé
E perdersi laggiù
In periferie lontane
Senza segnali
Nessuno che ti salvi
Nessuno che ti pensi

Meglio non pensarci
Meglio distrarsi
Scusarsi dicendo
Come se fosse niente
Parole vuole
Occhiate languide
Braccia alzate
Era inevitabile
Rifiutarsi
Prima o dopo
L’amplesso

Sentirsi colpevole
Di non aver scelta
Di non averne fatte
Quando avresti potuto
Ma era inevitabile
Cercare scuse
E sentirsi usata
Pezza da culo
E pezzo di carne
Con cui stimolarsi

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Borghesi

Borghesi.
Quelli cresciuti dalla nonna si lamentano. Gli orfani da trent’anni non crescono. La sera il buio fa paura, senza uno schermo che illumini l’oscurità.
Abbiamo rotto. Lo so.
Noi, bambini piccoli, barbuti e tatuati, che non si sa mai che si muoia davvero.
Noi, abbiamo tutto e vogliamo di più, perché non basta una sola cena per dire di esser sazi davvero.
Noi, silenziosi e muti, con un cuore che urla disperato nella prigione di costole e respiri affannati in cui lo abbiamo rinchiuso.

Noi, soli senza pianeti.
Noi, soli.
Noi soli.

“Non solo voi”, qualcuno dirà: “anche io sono solo”.

Perché é così difficile non voler essere soli?
Perché é così difficile non sentirsi a posto?
Perché é così dura accettare di essere amati proprio così come siamo?

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Una mano sola

Senza applausi, senza abbracci
senza stringere altre mani
non so spingere con forza,
né suonare una chitarra

Prego battendomi il petto
per il male che ho sentito
quando la sorte si è presa
il braccio, mentre offrivo il dito

Leggo libri e volto pagine
e a volte il libro si chiude,
e la noia un po’ si calma
la morfina non delude

Senza applausi, senza abbracci
oggi torno al mio divano:
oggi è un anno senza buchi
dormo e sogno la mia mano

Una mano sola resta
quando all’alba riapro gli occhi,
quando in testa mi balena
il pensier che fosse vero

Ma la mano non ricresce
nella notte a chi non crede,
a chi vende la sua vita
per comprarsi una partita

Fatto così come sono
senza più troppo dolore
la cancrena mi ha lasciato
ancora il battito del cuore

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Nulla più

Ogni giorno
Sorrido a tutti
Faccio ciò che devo
E anche di più

Ogni notte
Sorrido a tutte
E me le faccio, se voglio
E voglio sempre di piu

Unico limite
Alla mia libertà
È l’alba
Stupida luce

Fingere
Solo per tirare avanti
E nulla che basti
Nulla più

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Il silenzio che spaventa

Rumore, suoni, canti, fischi, schiocchi, parole vuote e seghe mentali.

Fatti, azioni, gesti inutili, solo per colmare un vuoto nella mia pancia.

Un weekend di silenzio spaventa tutti: “io non vengo perchè non ho voglia di rompermi le palle”, “io non voglio fare silenzio”, “che palle”.

E io, mi sento libero di fronte al silenzio?
Lei non lo fa di proposito, crede non serva, sia inutile.
Ma io? Lo faccio perché credo mi serva, o perché va fatto e basta?

Concretamente, sono lì stasera per un motivo.

Io ho bisogno di meditare? Io ho bisogno di stare fermo? Io ho bisogno di silenzio?

Sono libero, o ne ho bisogno?

Che palle. Lo dico io, ora.

E’ difficile capire a cosa serva il silenzio di venerdì sera, rischia di essere una superstizione, di farti venite sensi di colpa.
Se non lo rispettassi sarei in peccato.

Definitivamente non sono libero.

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Overeaters Anonymous, ovvero l’infinita tristezza

Quante volte ci accontentiamo di avere accanto qualcuno che ci dia attenzione, che ci consideri forte, bello, bravo, intelligente, sensibile, profondo e tutte quelle cose che pensiamo di non essere?

Ci svendiamo alla prima attenzione donata, abbandonando la nostra spina dorsale allo scheletro di qualcun altro.
Questo qualcun altro poi potrebbe andarsene, lasciandoci soli e senza spina dorsale, e questo non per sua “colpa”, ma perché non vede in noi quello che noi cerchiamo in lui.

Siamo ciechi.
Non vediamo persone, ma alberi che si muovono. Alberi da cui cogliere frutti per sfamarci, frutti che crediamo riempire il nostro vuoto che abbiam dentro, vuoto che non può essere riempito da qualcosa o qualcuno.
Ci crediamo più furbi di chi ci ha messo dentro quel senso di insoddisfazione che ci spinge alla ricerca, ma piuttosto che ammettere di non saper vedere ciò di cui abbiamo bisogno ci accontentiamo delle prime persone, delle prime sensazioni, delle prime parole che sentiamo.
Ci accontentiamo di un sorso d’acqua ogni tanto, ma non vogliamo andare a dissetarci alla fonte per paura di lasciare le nostre misere sicurezze.

Abbiamo bisogno di un chirurgo che ci tolga la cataratta dagli occhi, di un oculista vero che ci faccia finalmente vedere, e non di un oculista ciarlatano che ci faccia solo guardare altrove.
Qualcuno che ci conosca da quando siamo nati -o anche prima- e che sappia consolarci e perdonarci quando sbagliamo, che ci spieghi perché siamo schiavi di questa fame compulsiva, bulimia o anoressia del cuore, e che sappia dirci come rompere con essa.

Qualcuno ha il numero dell’ospedale giusto per noi?

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Senza titolo (2010)

Ti isoli
in un mare di alcol.

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Verità, sudore e riposo

Un masso, enorme peso,
grava sulla mia schiena,
mentre affannato lo porto
al luogo della mia dimora.

Un passo, impreco,
mi piego e incasso,
ancora un pugno o uno schiaffo
ed esploderò,
come un piccolo petardo
in mezzo a una strada affollata
nel giorno di Carnevale.

Soltanto un grosso sasso,
ma grande bellezza
verrà dalla sua incisione,
e forse servirà al mio godimento
questa mia fatica,
alla contemplazione
di una nuova cosa buona,
una nuova creazione,
per me e per lo scultore.