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Pensieri e note

Life log

Ho paura,
paura di finire
come sono arrivato,
senza accorgermene.

Ciò che avrò fatto,
in un modo o nell’altro,
prima o poi
perderà valore.

Ciò che non si perde
è la reazione,
è la causa legata all’effetto
da un evento che resterà,
eterno.

I tuoi occhi non esisteranno più
ma ciò che li mosse,
l’impulso a guardare oltre,
esso resterà, intangibile –
e inutile anch’esso, forse –
registrato per sempre
nel log della vita.

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Per carità

Una vita tranquilla, senza troppi impegni, che scorre lenta e serena, senza problemi, senza intoppi, senza… una meta.
Viaggiare, viaggiare, viaggiare.
Una vita leggera, come una foglia nel vento, oppure veloce come un piccolo pesce che sa nascondersi tra i coralli, a riparo dagli squali.
Una vita di zucchero, senza zucchero, col giusto zucchero, non nauseante, non amara, non aspra, giusto una zolletta nell’immenso sorso di tè nero che è la vita.

E’ a questo che dovrei ambire?
E’ a questo che ambisco.
E’ a questo che dovrei ambire.
Eppure non posso.

Non posso più ambire ad una vita tranquilla, senza troppi impegni, che scorre lenta e serena, senza problemi, senza intoppi, senza una meta, senza peso, senza sapore.
Non posso più accontentarmi di cose così alte, di cose così grandi, così ricche, così maestose come un palazzo regale, un tesoro antico o la Luna.

Ciò a cui il mio cuore ambisce è lo sguardo del vecchio.
Ciò a cui la mia mente ambisce è la mano del malato.
Ciò a cui la mia vita ambisce è il sorriso di un bambino.
E io non sarò mai così grande, ma ho una grande speranza.

Una speranza grande come quella solitudine, quella sofferenza, quella debolezza.
La speranza nella cosa che tutto copre, tutto sopporta. tutto crede,

E’ quella cosa che smuove, che affida, che entusiasma, che guarisce, che scioglie, che guida, che pondera, che dà sapore a questa vita così sterile e fertile.

Una vita che serva.

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Fast-forward

A volte vorrei fare un fast-forward sulla mia vita.
No, non un pause, non un rewind.
Non vorrei saltare alla prossima scena, né tornare all’inizio di tutto.

No, non parlo di arrivare alla fine, stop e cambiare il film.
Parlo di quella senzazione sgradevole che troppi ignorano, perché vivono in slow motion la stessa scena da decenni o perché vogliono tornare indietro a 2-3 scene prima.

Padri e madri che giocano ad avere vent’anni, figli bambini che devono essere forti e responsabili come adulti, nonni che rigenerano i propri nipoti viziandoli e caricandoli di troppa libertà.

A volte vorrei fare un fast-forward, quando sono stanco di essere giovane.
Sono troppo giovane per essere vecchio, ma la mia vita è quella di un quarantenne.
A ventisei me ne vorrei sentire cinquanta.

La morte mi fa paura, certo, ma temo molto di più una vita giovane senza speranze nel futuro.
Temo molto di più la vecchiaia dell’anima, la mancanza di stupore, la strada sempre uguale verso casa, l’entusiasmo che lascia spazio alla rassegnazione.

E conosco anziani che sperano in un domani che non vedranno, perché hanno visto una guerra o due, e hanno visto cos’è il combattimento.

Questi ragazzi arresi al dolore, senza nessuno che combatta per loro, riusciranno a sopravvivere?
E io, sulle mie gambe, vedrò a volto alto ciò che attendo?

 

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Una coccarda dorata

“Che brava!” ti dicevano, e te eri contenta così.
Lo facevi perché eri brava, lo facevi perché lo ERI.

Lo facevi con impegno e mettendoci te stessa,
lavorando e studiando con profondo credo.

Lo facevi e ti dicevano “che brava!”, eppure
non lo facevi solo per sentirtelo dire.

Oggi cos’è cambiato? Quale novità
ha reso vecchio il tuo florido entusiasmo?

“Che brava!” vuoi sentirti dire, e non sei contenta
nemmeno quando te lo dicono.

Che brava, e lo sei davvero.
Ma tu hai pervertito il senso
del complimento
per vuota vanteria.

Ora ogni apprezzamento
sembra una coccarda dorata
su vestiti logori,
e ti accontenti.

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Battere la morte

Un amico una volta mi disse: “Amare significa dare la vita all’altro, ma per poter dare la vita prima devi averla te, la vita”.

Non è vero che la morte è l’ultima parola, specialmente se la morte non è la tua ma è di chi hai accanto: tu puoi ridare la vita a chi è morto, solo che prima devi essere vivo te.

Che fregatura.

Sembrava tutto bello quando eri bambino, quando a San Valentino portavi una scatola di cioccolatini/un orsetto di peluche alla bambina che ti piaceva (e regolarmente rimediavi un 2 di picche), prima che i tuoi genitori smettessero di sembrarti un principe e una principessa e iniziassero a sembrarti il re degli stronzi e la regina delle rompicoglioni.

Oggi che di anni ne abbiamo 25 facciamo così fatica ad amare, che essere galanti è solo un anelito lontano, come fare un viaggio in Giappone o licenziarsi per vivere d’arte.

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Memorie di un vecchio del ventunesimo secolo

Oggi il mio sguardo è un po’ più stanco.
Svegliarsi non è sempre semplice, soprattutto dopo essere andato a letto tardi per finire di sbrigare quelle faccende familiari da cui non puoi isolarti.
Ho spento la luce e chiuso gli occhi. Non ce la facevo più.
Una porta chiusa, una tapparella abbassata.
Il confine lontano, non lo vedo più.

Lei è sempre stata lì, pronta a perdonarmi.
Io no, mi sono sempre condannato.
Ma lei no, e nemmeno il prete. Quindi, collego, nemmeno Dio.
Nessuno di nessuno. Nessuno si è incazzato con me.

Un errore che si porta dietro da 9 anni.
Io mi incazzo con me, certo, quando penso che ho una figlia che considera tale quel prodigio di bambino che è mio nipote.
Un errore, non tanto per l’averlo fatto nascere, ma proprio perché qualunque cosa lui faccia la sbaglia.
E’ un errore vivente. L’incarnazione perfetta dell’errore.
Un coglione antropomorfo.
E ben le sta, vista la sua sfacciataggine.

Mia figlia è laureata con il massimo dei voti, ha fatto anche meglio di sua madre.
Si è sposata con l’uomo della sua vita, grazie al cielo.
Ha dato alla luce un bambino con un innato senso artistico, ma che è un brocco in qualsiasi cosa non sia artistico.
La sua bisnonna era una pittrice, e anche il suo bisnonno si dilettava in produzioni artistiche amatoriali.
Spero capisca che l’arte non dà un lavoro. L’arte non risolve problemi. L’arte dà solo risposte a domande che non sei sicuro di saperti porre.

Il marito di mia figlia è nero.
E’ nero di pelle, è nero fascista, è nero anche d’umore. Lavorava per un’impresa di pompe funebri, murava i cani morti nei forni al cimitero.
Lui ha trovato in lei l’unica via d’uscita da quel controsenso che era la sua vita.
Lui, un nero fascista, incazzato nero, mai amato da nessuno.
Lei, una bianca vegana, innamorata dei fiori, delle verze e della carne viva –  e non morta nel piatto.
Si sono incontrati al funerale del nostro cane.
Io certe cose ancora non le tollero.

Da quando seppelliscono i cani, con “cerimonie” pagate dalla Regione, a me sono cadute le palle.
Un celebrante con la fascia tricolore, la maschera da Pluto e un libro pieno zeppo di formule da recitare per garantire al cagnolino deceduto il riposo eterno (laico).
Sarò all’antica, ma per me una bestia se muore non va in paradiso.
Al massimo finisce sepolto dietro casa sotto un fiorellino, tanto per dire: “Caro Fido, sei stato proprio carino, grazie tante per la tua fedeltà e salutaci i vermi”.

Fido, che cane stupendo.
Che nome scontato, che pelo sporco, che carattere di merda.
Però mai una volta che mi abbia fatto entrare in casa un ladro, mai una volta.
I ladri, gli zingari, i testimoni di geova lo temevano, e io lo sapevo che me lo avrebbero avvelenato.
Secondo me è stato quel prete che una volta era stato morso da Fido alle chiappe… Quante risate!

Mi manca Fido, un po’, ma per mia figlia la sua perdita è combaciata con la perdita dell’innocenza.
Aveva 15 anni, lei. Mai un dubbio, fiera carnivora e cattolica fervente.
Poi questo episodio, il prete lei non lo ha mica mai perdonato.
Sì, ci va ancora a confessarsi da lui qualche volta, ma mica per il prete.
La morte di Fido l’ha portata a nutrirsi solo di fagioli e di insalate, di sedano e di pomodori e di mais.
E’ andata fuori di testa, la poverina.

Io certe cose non le tollero.
Non tollero i funerali dei cani.
Non tollero quelli che mettono il formaggio sulla pasta col tonno.
Non tollero quelli che arrivati alla mia età vanno ancora in palestra e si fanno la fidanzata, una all’anno, e credono di essere loro a non volere figli.
Non tollero questa mancanza di responsabilità negli uomini.
Le donne non ne hanno bisogno di uomini che non siano responsabili. Hanno bisogno di uomini che siano uomini, non femminucce.
Sennò ha senso tutto, dal funerale dei cani al divieto di sposarsi tra uomo e donna se non si fanno figli.

Io avrei riso, se me l’avessero raccontata quando mi sono sposato io.
Crescita 0. Ogni donna ha 0,05 figli. Siamo solo vecchi.
A 65 anni sono ancora giovane, rispetto alla gente che circola.

Mia figlia ha avuto subito un figlio, ora aspetta un’altra bimba.
Non perché la volesse, ma perché se in età fertile non fai un figlio ogni 5 anni (non un anno di più, ne uno di meno) ti annullano il matrimonio e devi pagare una multa salata.
Lei voleva una famiglia numerosa, poi è passata la legge e non è più possibile fare figli se non quando l’ASL ti manda il richiamo.
Ogni 5 anni, l’ASL chiama le mogli della città, gli dà la pillola per rimanere incinta e dà 30 giorni di tempo.
Dopo 60 giorni dal richiamo c’è la visita: se la donna non è rimasta incinta, fanno le dovute visite mediche.
Se è la prima volta, se la donna è sterile viene avviata la procedura di annullamento del matrimonio.
Se non è la prima volta, si procede con le cure di ormoni per poter effettuare la fecondazione in clinica.

Per fortuna non è stato un grosso problema per mia figlia.
E’ rimasta incinta al primo colpo di quello strabiliante coglione di mio nipote.
Un biondino, chissà come è uscito. Mia figlia ha i capelli neri corvini e gli occhi verdi, e lui la ricorda solo vagamente in certi tratti dolci del viso.
Il padre donatore deve essere stato un nordico.

Il marito di mia figlia non sapeva di poter avere figli.
Nessuno glielo aveva insegnato, perché ormai sono cose che non si credono possibili.
Io sì, ho messo incinta mia moglie, ma erano altri tempi e certe cose si potevano ancora fare.

Belli i vecchi tempi, quando potevi andare in moto senza casco o fumare nei luoghi pubblici.
Non che io fumassi: avevo solo 12 anni quando la legge antifumo è stata approvata, nel 2003.
Però si respirava un’aria diversa, forse perché non c’era bisogno di tante leggi, una volta.

A 5 anni dal concepimento del piccolo coglione, il nero fascista ha messo incinta mia figlia, non so come sia accaduto. Cioè – lo so, ma non speravo fosse ancora possibile.
Mia figlia poi lo ha dovuto segnalare all’ASL, che suo marito è “non sterile”.
Al nero gli hanno fatto i controlli, la profilassi e tutto quanto.
Lo hanno dimesso dopo qualche giorno, dopo averlo dichiarato sano e avergli fatto la proposta di diventare donatore di seme.
Lui non se lo aspettava, e penso che voglia declinare.
Quelli come lui e come mia figlia, a volte, preferiscono non accettare certe pratiche moderne.

Resta poco tempo, ancora.
Ho 65 anni e penso che i miei giorni finiranno prima del tempo.
In ogni caso, non so quanto resti a mia moglie.
Lei ha 66 anni ed è ancora bellissima nonostante l’età, ma inizia a dare qualche segno di cedimento.
Dopo la menopausa ha avuto un lentissimo ma progressivo peggioramento nella deambulazione.

Siamo in due, non siamo soli.
Quando avvengono certi incontri, la tua realtà non può più essere virtuale.
Bisogna affaticarsi, sporcarsi, cedere.
Ci si deve svegliare più stanchi di quando sei andato a dormire.
Questo, la realtà virtuale non te lo permette.

La mia memoria finisce quando termino i giga sul telefono.
“Troppo tempo attaccato al telefono”, mi dice.
“Troppe app, e non mi so applicare”, penso io.
Pelle sottile, la mia. Si rompe con un graffio.
Ci manca che mi si rompa anche a me la dentiera, e sarò condannato a un’eternità di brodini.
Fortuna che manca poco, ancora.

Era facile, quando ero giovane, bello, alto, snello, simpatico, con un duro pisello, libero da moglie come un fringuello.
E mi piaceva fare rime stupide, che vincevo le gare di poesia contro i miei amici buttandola sul nonsense.
Era facile allora, o la facevo facile io.
Ora mi sembra inutile.

Il pela-scorza del dolore ha tolto la scorza acida e profumata da quel limone dalla polpa gonfia e sugosa che è la mia vita.
Il mio fisico avvizzito l’ha spremuto.
Ora devo bere dall’amaro calice tutto il suo aspro succo.
Troppo limone. Se chi vive sperando muore cagando, io spero di non morire stitico.

Chi mi ridarà la scorza frizzante di quegli anni giovani, passati a dover fare scelte?
Chi mi ridarà le opportunità che ho perso, le scelte che spettavano a me e che ho relegato alla poltrona?
Chi mi ridarà lo spirito di freschezza, di coraggio e di osservazione che ho sostituito con un’app per organizzarmi la vita e renderla scevra da imprevisti?
Chi mi ridarà i migliori anni della mia vita, ora che sono vecchio?

La mia vita. Una, sola.
Bisogna essere in due, per non essere soli.
Una boccata d’aria fresca in questo mattino umido e ventilato nella periferia della mia città.
Qui ci sono nato, cresciuto, mi sono sposato, ho dato i natali alla mia prole, sono invecchiato e sono morto, più e più volte.
Tutte le volte senza una speranza, perché le cagate più grandi le avevo già fatte.

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Pensieri e note Poesia

Avanzi

Dimenticai
ciò che per paura
seguisti in ciò che chiamano
“gioventù”
ogni caduta, cedimento,
incertezza, bestemmia, bruttezza

I tradimenti, la cupidigia
le menzogne, la vergogna
serpenti che morsero
coloro coi quali li cinsi,
“gioventù”
il mondo giustifica
solo per gioco

Dimenticai
ciò che ora non vuoi più
che il tuo mondo veda
“gioventù”
perduta, lontana, acerba,
nascosta, errante, immatura

Fedele,
non ti ho mai tradito
e se mi hai mentito
ricordo
soltanto una promessa
“gioventù”
acerba se non sai aspettare,
l’attesa logora
chi non sa cosa volere

Ricordo
soltanto una promessa
e generazione su generazione
è sempre rimasta la stessa
i figli
la terra che accoglie il seme
e, fertile, germina,
e genera una nuova speme

Il cammino è lungo,
la morte è una tappa
verso la terra dei vivi
chi vuole restare
resti,
sotto la terra dei morti
ma chi vuole amare
avanzi
oltre il confine eterno
abbondi e danzi

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Pensieri e note

La mia regola

Vuoi tu
essere per me
regola?

Vuoi tu
passare la tua vita
ad essere evasa,
spezzata,
così poco rispettata?

Vuoi tu
diventare mia
pietra d’inciampo,
mio scandalo?

Vuoi tu, amore,
aprirti alla vita
e alla sua delusione?

Io lo voglio,
che tu sia per me
misura e bastone
per i miei passi claudicanti.

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Poesia

L’ottavo giorno

Ruba gli occhi alla Medusa
e bevi una camomilla
nella tazza in cui beveva tua madre:
dormirai un sonno senza tempo,
tra pensieri che non ti appartengono
e i sussurri dei momenti che non hai accolto.

Andrai incontro alle paure che non hai avuto,
agli scheletri che hai tolto dall’armadio
e spedito nella discarica comunale,
camminando a ritroso
sul filo elastico del tempo
come un atterraggio sul ponte
del bungee jumping, o
il the inglese che ritorna
nella sua bustina pregiata,
“Made in China”.

Vorrei una notte così,
fatta di ricordi che non siano mostri
e passi che non siano rimorsi,
e un giorno cosí,
pieno di idee che mi danno da fare
e di pane che mi possa
– finalmente – sfamare.

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Pensieri e note

Selvaggia

La notte non fa poi così paura
Quando sei sdraiata sul letto, nella tua stanza
Ti giri e solo a volte senti in lontananza
Il treno, e la tua vita che se ne va

La notte a volte mi fa un po’ paura
Quando mi sveglio di soprassalto nella mia tenda
Il peccato sta reclamando il suo salario
La morte è l’unica moneta nelle mie tasche

E adesso che la morte pesa più del mio zaino
E adesso che la notte deve ancora arrivare
Io scrivo ogni mio pensiero su questo foglio bianco
Che importa se qualcuno mai lo leggerà?

La vita no, non fa piú paura
Se riesci ad uscirne viva come ho fatto io
Il tempo che ora sto contando è quello che passa
A quello che deve venire daró conto poi